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Strategia globale contro i terroristi
di SHIMON PERES
GLI attacchi terroristici contro le Torri gemelle e il Pentagono
hanno rivelato l' altra faccia della globalizzazione: la minaccia globale.
Finora avevamo imparato a conoscere l'economia globale: un fenomeno che
si manifesta quando l'economia di un paese cessa di dipendere dal territorio
nazionale. Ebbene, la minaccia globale è il risultato di un cambiamento
analogo: quando il terrorismo non colpisce più un singolo territorio,
ma minaccia l' intero mondo civilizzato.
Nel passato, gli eserciti erano fatti per difendere o conquistare
un territorio. Ma la nuova minaccia globale non si nasconde in un territorio.
Essa non ha confini. Può colpire ovunque, in qualunque momento,
e scomparire come uno spettro. Può infliggere migliaia o milioni
di perdite a una forza militare o a una popolazione civile ed inerme. Questo
terrorismo, frutto dell'unione tra la povertà, il sottosviluppo,
il fanatismo, e la modernità, l'alta tecnologia, le comunicazioni
di massa, è il vero Satana del nostro tempo. E' un terrorismo inumano,
diabolico. Non si possono fare patti col diavolo. Non si scende a compromessi
col demonio. Se questa minaccia verrà lasciata crescere, potrebbe
impedire il commercio, i trasporti, il turismo, potrebbe minare la libertà
e la sicurezza dell'Occidente, potrebbe avvelenare il nostro sistema democratico.
Si può combattere e vincere una minaccia simile? Sì,
si può. Ma per battere la minaccia globale del terrorismo, il mondo
civilizzato deve a sua volta passare da una strategia nazionale a una strategia
globale.
Primo: bisogna riconoscere le dimensioni della minaccia e identificarla
per ciò che è esattamente. Ovvero, bisogna capire che essa
non scomparirà fino a quando non avremo estirpato l'ultimo terrorista
e le forze che appoggiano ed alimentano il terrore.
Secondo: oggi abbiamo eserciti senza più nemici e minacce
che non hanno bisogno di avere eserciti. Bisogna dunque adattare la sicurezza
mondiale alle nuove esigenze del conflitto. La Nato, creata mezzo secolo
fa per fermare la minaccia sovietica, oggi non ha più un vero nemico.
Ma ha mantenuto un'enorme potenza militare, un alto livello di professionalità
e un ricco budget.
Bisogna concentrare queste risorse contro i nemici odierni, non
quelli del passato. E bisogna rivedere la composizione dell'alleanza, affiancando
alla Nato tutte le potenze pronte ad allearsi con America ed Europa nella
lotta al terrorismo internazionale: cioè Russia, India, Cina, Giappone.
Terzo: la battaglia non sarà combattuta sui fronti tradizionali.
L'alleanza dovrà sopportare menzogne, recitate talvolta da alti
membri di un clero. Dovrà avvalersi di azioni clandestine. Dovrà
cooperare nel campo della finanza, dell'economia, delle comunicazioni e
dello spionaggio. Infine dovrà chiarire a tutti i paesi del mondo,
facenti parte o meno dell'alleanza, che d'ora in poi ciascuno deve scegliere
se stare con chi combatte il terrorismo o con chi lo appoggia. Sarà
come entrare in un locale per non fumatori: non puoi essere ammesso se
ti presenti alla porta con un sigaro in bocca. Io credo, per fare un esempio,
che Arafat abbia compreso di non potersi più sottrarre a una scelta
del genere. Non puoi dire di volere la pace, se ti presenti con una pistola
nascosta dietro la schiena.
Quarto: questa battaglia sarà condotta in condizioni difficili
per le democrazie. Sappiamo che, mentre combattiamo il terrorismo, non
possiamo rinunciare ai nostri valori e principi. Eppure le democrazie della
terra hanno già creato al loro interno strutture non perfettamente
democratiche: l'esercito, i servizi segreti, le forze di polizia. L'esercito
non garantisce libertà di parola, non applica le norme sindacali
nei rapporti tra dirigenti e dipendenti. I suoi ordini vengono eseguiti,
non discussi. La democrazia si è autoimposta questa restrizione
alla sua libertà perché sa di non poter sopravvivere senza
la difesa, senza una protezione militare. Ma in una democrazia, anche l'esercito,
i servizi segreti, la polizia, sono sottoposti al controllo supremo di
poteri liberamente eletti.
Lo stesso concetto vale per le forze che impiegheremo nella battaglia
contro il terrorismo. Sarà una battaglia in cui talvolta dovremo
porre restrizioni alle nostre libertà. Ma dovremo sempre trovare
un equilibrio tra la protezione della nostra sicurezza e la protezione
della nostra libertà.
Quinto: sarà una battaglia contro il terrorismo, non contro
un paese, un popolo, una razza o una religione. Proprio per questo sarebbe
augurabile e necessario che i più alti rappresentanti di ogni religione
esortassero i loro fedeli a partecipare a questa lotta. E che gli stessi
leader religiosi condannassero risolutamente la strumentalizzazione della
«guerra santa» per giustificare l'omicidio e lo sterminio di
massa.
In conclusione, la nuova minaccia globale è grandiosa e terribile.
Non può essere sconfitta a parole, o con un singolo colpo. Ma non
c'è alternativa: dobbiamo abbatterla, se vogliamo sopravvivere liberi
e sicuri. E la abbatteremo.
(dal quotidiano Yedioth Ahronoth, tradotto e pubblicato da
la
Repubblica, 27. 9. 2001)
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